Nel 1990 la Lettonia proclamò la propria indipendenza, ma Mosca scelse di riconoscerla soltanto un anno dopo.
Così, gli abitanti della Lettonia, e soprattutto di Riga, da cittadini dell'Unione Sovietica divennero-tecnicamente lettoni: ma non tutti. Solo gli individui i cui antenati risiedevano in Lettonia prima del 1940 (ovvero precedentemente alla prima occupazione sovietica) ricevettero la cittadinanza. Gli altri ottennero un "a_l_i_e_n_'s_ _p_a_s_s_p_o_r_t_", un passaporto da "non cittadino".
Se nell'intera Lettonia il 27% della popolazione è russofona, questa percentuale sfiora il 50% nella capitale Riga. Maskavas Forštate, il quartiere russo della capitale lettone, è il luogo-non luogo che meglio descrive la condizione di alienazione di questa fetta di popolazione non più sovietica ma tantomeno lettone. I russi di Riga possiedono la loro stampa, la loro televisione, le proprie botteghe e i propri esercizi: coabitano ma non si mescolano.
Sebbene i non cittadini lettoni godano di tutte le libertà e i diritti comunemente intesi, non possono votare: la cittadinanza, infatti, si acquista superando un esame di storia e lingua lettone base; negli ultimi mesi, è stato introdotto un test obbligatorio, valido per i residenti russofoni dai 15 ai 75 che ha fatto molto discutere. Iscriversi al test e superarlo è obbligatorio: pena l'espulsione a partire dal 2 dicembre 2023. Il conflitto in Ucraina, indubbiamente, ha esacerbato la questione, rischiando di mettere in pericolo una convivenza che dura da decenni.
Francesca Salvatore
Storica e giornalista